La cultura occidentale fonda sul linguaggio il proprio modo di “fare comunicazione”: laddove per comunicazione s’intende l’elaborazione di pensieri, idee e progetti che necessitano di essere fruiti e compresi dal prossimo. A tal proposito, i modi di esprimere concetti, teorie e riflessioni hanno subito una trasformazione enorme già a partire dagli albori della grafia, divenendo sempre più complessi e articolati con il trascorrere dei secoli, inseguendo l’evolversi della razza umana, adattandovisi ed elaborando forme espressive sempre nuove, specialistiche e contestualizzate.
In sintesi: il lessico si complica man mano che a noi si complica la testa (e la vita).
Linguaggio? Menti complicate? Davvero?!?
Se queste sono le premesse, ditemi: com’è possibile che, al giorno d’oggi, vada per la maggiore il dialogo a mezzo emoticon/fotografie/video/segnali di fumo e chi più ne ha più ne metta, purché di immagini si tratti piuttosto che di frasi? Come ci siamo arrivati? Dove andremo a finire di questo passo?
Non so voi, ma io inizio seriamente a chiedermelo. Così, posto il problema, manteniamo la calma e cerchiamo di dipanare la matassa andando per ordine.
La risposta alla terza domanda è indubbiamente: non lo so e mi terrorizza l’idea di saperlo!
Riguardo i primi due quesiti, invece, la faccenda ha origini piuttosto antiche: pertanto direi di fare un po’ di storia (solo un po’ e con le figure: niente panico!).
IN PRINCIPIO ERA LA PITTURA RUPESTRE
Avete presente quei bei disegnini raffiguranti scene di caccia, pesca, oggetti di uso quotidiano risalenti alla preistoria? Ecco: era quello, di fatto, l’unico strumento disponibile per raccontarsi e lasciare traccia ai posteri del vissuto di allora.
Graffiti del genere, per intenderci:
La presente illustrazione è stata da me medesima realizzata: si prega la gentile utenza di astenersi da illazioni in merito all’età anagrafica della scrivente. Grazie.
Carini, vero? Vi dirò: il mezzo si rivelò talmente efficace da perdurare per molto, molto tempo, articolandosi in maniera tale da condurci, passando per i geroglifici e la scrittura cuneiforme, ai primi rudimentali segni grafici, antenati diretti di quel meraviglioso sistema di trasmissione di informazioni qual è la scrittura odierna, che iniziarono a identificare non più gli oggetti, bensì i suoni emessi durante le conversazioni.
Il caso volle però che, nello stesso momento in cui all’arte pittorica si affiancava quella calligrafica, le due cose subissero una scissione, divenendo l’una la raffigurazione più o meno fedele, seppure soggettiva, della realtà così come la percepisce l’occhio umano e l’altra, invece, la rappresentazione della nostra sfera cognitiva ed emotiva: ovvero la manifestazione verbale dell’anima, sia dello scrivente, che, in qualche modo, del lettore.
A QUESTO PUNTO VIENE IL BELLO
Perché, se da un lato il progresso tecnologico dei primi del Novecento faceva sì che sintassi, ortografia e grammatica, macinando chili e chili di inchiostro da stampa, permettessero la diffusione di opere partorite dalle più disparate correnti letterarie, per non parlare della circolazione di fatti di cronaca a mezzo quotidiani, con buona soddisfazione dei palati più esigenti in materia di pubblicazioni cartacee, dall’altro lato lo stesso progresso ci consentiva, attraverso cinema e televisione, di abituare il senso della vista a ricevere messaggi di qualsiasi genere in modo sempre più immediato, comprensibile e altrettanto soddisfacente.
Segue diapositiva:
Siate gentili, non fatemelo ripetere.
Stando così le cose, c’è da chiedersi: se due mezzi di divulgazione coesistono pacificamente da epoca immemore, cosa esattamente ci spinge a preferirne uno dei due?
E QUI CASCA L’ASINO (FACENDOSI PURE MOLTO MALE)!
Se consideriamo, infatti, la nostra attuale capacità di progettare computer dotati di software a prova di pesce rosso, telefoni cellulari con schermi che basta guardarli e ti fanno il ritratto dell’albero genealogico, videocamere sofisticatissime che anche mia figlia quattrenne saprebbe utilizzare come il più professionale dei cameraman, il tutto allo specifico scopo di divenire partecipanti attivi del processo comunicativo, direi che il gioco è fatto!
In pratica: abbiamo raggiunto un livello di sviluppo tecnologico tale da riuscire a entrare letteralmente fin dentro i dipinti, gli scatti, le riprese, da poterli plasmare e rimodellare a nostro completo piacimento (alzi la mano chi non ha mai utilizzato programmi per il ritocco fotografico: se non è già manipolazione questa, ditemi cosa lo è).
Un esempio:
Che ve lo dico a fare….
BELLO, FIGO, MI PIACE, MAGNIFICO, ECCEZIONALE!
Però (c’è sempre un però che si aggira indisturbato all’interno dei discorsi, pronto a saltar fuori, non richiesto, quando meno te lo aspetti) mi domando:
del testo cosa ne facciamo?
Colpo di spugna e “Ciao ciao vocaboli, costruzioni e periodi; è stato bello finché è durato”?
Concederemo a icone più o meno complesse di tornare a essere unica forma narrativa? Cosa ne sarà della nostra capacità di immaginare volti, scenari, ambienti, arredi? Cestineremo racconti, romanzi, poesie, saggi, articoli di giornale riducendoci a comunicare per abbreviazioni, trascurando una lingua che ha richiesto secoli per essere codificata? Rinunceremo alla magia del discorso in favore della praticità del simbolo?
Ma, soprattutto:
Non ci preoccupa tutto questo?
Sì, certo, lo ammetto, viviamo di sveglia, colazione, figli, scuola, lavoro, pranzo, sport, cena, impegni, sonno (poco): il tutto a ritmi frenetici. Ma è lecito, per questo, che ogni evento sia filtrato soltanto attraverso le pupille, senza che ci venga richiesto anche solo un minimo sforzo per riattivare il cervello, la memoria, la fantasia? Non saranno, le nostre, claudicanti scuse per giustificare il fatto che siamo diventati mentalmente troppo pigri?
Ci imbocchiamo a vicenda quasi fossimo poppanti incapaci di costruire e visualizzare un pensiero attraverso le parole; acquistiamo sempre meno libri e sempre più riviste illustrate, adducendo come scusa il fatto che la stanchezza ci impedisce la concentrazione; c’incantiamo di fronte a cartelloni pubblicitari sui quali il contenuto è tutto fuorché protagonista; allo scrivere una lettera preferiamo digitare sms ricolmi di faccine che pretendono di essere indicative di stati d’animo complessi.
In soldoni:
Staremo mica tornando ai pittogrammi?
Ci staremo mica rincitrullendo e, inesorabilmente, involvendo?
Io temo sia così. Voi?