Il modus operandi in ambito SEO tende a cambiare notevolmente a seconda della nicchia di mercato di cui ci si sta occupando: questo è piuttosto evidente, in particolare, ottimizzando siti web in lingua italiana e, ad esempio, in inglese. Riporto questi due esempi poiché ho effettuato operazioni tipiche per la promozione dei siti in entrambe le lingue e diverse sono state le cose che mi sono saltate all’occhio.
Le differenze esaminate sono relative principalmente alle seguenti attività SEO:
- scrittura di comunicati stampa, recensioni ed article marketing;
- realizzazione di link bait efficenti mediante widget e mash-up;
- pratica di backlink building;
- diffusione dei contenuti mediante social news/network.
Tradurre il testo e conoscere la lingua
Per noi italiani questo primo punto può sembrare grossolano, ma vi garantisco che fa la differenza: questo è rilevabile anzitutto nelle pratiche di article marketing che usualmente facciamo per promuovere i nostri siti.
Mentre in Italia i vari “articlemarketing.qualcosa” accettano qualsiasi cosa – a patto che sia pressappoco sensata e scritta in italiano più o meno leggibile – questa pratica pone invece dei limiti rigidissimi per quanto riguarda molti portali che raccolgono articoli negli Stati Uniti. Penso, per fare un esempio, al notissimo EzineArticles: redatto da oltre 430.000 articolisti, impone delle regole editoriali piuttosto ferree, che sono talmente complesse che hanno deciso di diluirle in un’apposita newsletter, da ricevere giornalmente.
Gli accorgimenti da seguire sono davvero tanti (anche un’apice singola o doppia, a volte, fa la differenza!) e mi è capitato di dover sottomettere gli stessi articoli anche 3-4 volte consecutive: del resto, dopo la stretta imposta da Google contro le content farm e gli articoli su commissione poco utili all’utente, la mossa appare decisamente comprensibile. Peraltro essa garantisce un’autorevolezza al sito davvero notevole e permette di effettuare strategie di promozione molto mirate.
Di contro, in Italia facciamo article marketing non sempre di livello, non esiste affatto il concetto di guest posting, ognuno scrive nel proprio blog – con pochissime eccezioni – e a volte tende a non concedere backlink quasi per dispetto. Quindi la concorrenza tende a spostarsi sulla quantità di articoli che vengono scritti, piuttosto che sulla qualità: se risulta relativamente agevole produrre 5 articoli al giorno in italiano per posizionare un sito, non possiamo certo dire lo stesso per l’ottimizzazione di siti in inglese.
In inglese ci sono più risorse
In Italia Facebook e Twitter – solo in parte StumbleUpon e Linkedin – sono strumenti usatissimi per la promozione dei propri siti presso gli utenti: in altri paesi viene usato molto Youtube, ad esempio, mentre sono disponibili un’ampia gamma di strumenti social alternativi.
Questi servizi hanno un pubblico magari di nicchia, a volte, ma sempre piuttosto attivo e presente. Da noi al massimo spopolano OkNotizie, DiggIta e pochissimi altri, senza contare i piccoli portali di social news “cloni” che contano, con rispetto parlando, come il due di picche: nel panorama inglese c’è invece una vastissima scelta di strumenti e ha senso pensare di promuovere i contenuti mediante software automatici che postino lo stesso articolo, ad esempio, letteralmente su centinaia di reti sociali differenti.
Da noi c’è un panorama decisamente più piatto, se vogliamo meno consono, allo scambio di informazioni e molti strumenti avanzati che possono essere utilizzati a scopo SEO in entrambe le lingue – e non mi riferisco ai soliti: penso, ad esempio, a Yahoo! Pipes – non sempre si riescono ad adattare agli scopi prefissati per l’Italia, visto che il lettore medio italiano, in molti casi, esige il testo della pagina nella propria lingua.
In Italia si produce meno traffico rispetto agli altri paesi
Sappiamo bene che al cliente, spesso, interessa incrementare il numero di visitatori e, in alcuni casi, si guarda al numero di lettori realmente interessati al prodotto che, ad esempio, viene proposto in un sito di e-commerce.
Di fatto, nonostante spesso ci dicano che il mercato di internet è in espansione, il numero di utilizzatori medi in Italia appare decisamente inferiore rispetto a quello di altri paesi (nell’esempio ho considerato per il confronto: Svezia, Stati Uniti, Portogallo, Francia, Regno Unito, Finlandia, Polonia, Svizzera, Australia). Al tempo stesso lavorare nel panorama dei siti in inglese è certamente più affascinante, ma significa scontrarsi con difficoltà totalmente diverse, dettate anzitutto da una concorrenza più matura, più efficace oltre che molto più numerosa rispetto a quella italiana.
In Italia si commenta poco
È una considerazione che mi sento di fare dopo aver visto, per fare un esempio concreto, alcuni articoli (ad esempio di SEOmoz) scritti in inglese e gli stessi, di fatto, tradotti in italiano.
Il rapporto del numero di commenti nell’uno e nell’altro caso è piuttosto imbarazzante (ad es. centinaia, a volte migliaia, di commenti contro poche decine). In Italia il navigatore va sempre di fretta, non riesce a concentrare la propria attenzione sulle analisi approfondite e questo si riflette indirettamente anche sui CTR (Click-though Rate) dei banner, i quali vengono spesso ignorati. Inutile quindi sottolineare quanto possa essere frustrante essere limitati nell’utilizzo dei commenti all’interno dei blog italiani, che solo in alcuni casi concedono il dofollow, mentre in molti altri sono soggetti a moderazione e non permettono, a volte, nè backlink contestuali nè tantomeno, purtroppo, critiche ai contenuti degli articoli.
Le modifiche algoritmiche di Google non arrivano in tempo reale
Sono certo che se un giorno Matt Cutts scrivesse che Google ha fatto le modifiche X, Y e Z, tutti si affretterebbero a comportarsi di conseguenza, facendo in modo che X, Y e Z non “danneggino” il proprio sito. Pensare di essere al centro del mondo, in generale, è un atteggiamento sbagliato e fuorviante: di fatto, è importante seguire le novità di Google, ma al tempo stesso è essenziale capire che esse non si propagano a velocità infinita, ma possono richiedere anche diversi mesi prima della loro attuazione.
Quindi ricordiamoci sempre di questo fatto, per evitare isterìe collettivi piuttosto inutili come già avvenuto, ad esempio, con Google Panda (tutti a rivedere i contenuti) o il recente “above the fold” (tutti a rimuovere banner). Se leggiamo dunque di una novità in un blog inglese, facciamo caso ai paesi in cui ciò sembra essere valido, prima di prendere contromisure che rischiano di non essere tali.
Le statistiche non si posson0 adattare come se nulla fosse
Questo ultimo punto deve essere espresso con grande chiarezza, perchè è davvero essenziale: richiamo alla mente, a riguardo, i primi articoli su Google Panda che uscirono fuori più o meno un anno fa. All’epoca si fece un gran parlare di questa nuova modifica algoritmica, delle conseguenze e delle contromisure. Panda arrivò ufficialmente in Italia solo nell’estate, ma nessuno, o quasi, fece caso che i primissimi dati di riferimento:
- erano relativi a paesi diversi dall’Italia (Panda colpì ufficialmente circa un sito su dieci, quindi non aveva alcun carattere di universalità, come invece molti diedero per scontato)
- non erano numeri di Google, bensì di grosse aziende operanti nella SEO, ed estrapolati dall’indice di motori di ricerca propri (vedi Alexa, SEOmoz e SearchMetrics).
Presi come siamo dalla foga di tradurre liberamente quello che ci capita sottomano, a volte dimentichiamo questi aspetti fondamentali e questo, secondo me, è davvero grave: non è vero in generale che una statistica SEO per i paesi anglofoni valga pedissequamente anche per l’Italia, e questo perchè si tratta di volumi e qualità di traffico totalmente diversi tra loro.
Basterebbe anche solo guardare i Google Trends dei diversi paesi per intuirlo: e se questo non vi convince a fondo, aggiungete pure il fatto che alcune nicchie di mercato (anche di grande successo come quella degli e-book, ad es.), in Italia interessano probabilmente meno dell’1% dei navigatori. Come se non bastasse, raramente si considera che i dati pubblicati da SEOmoz o Search Metrics, ad esempio, sono relativi ad analisi effettuate con dati propri: di fatto, si tratta di contenuti atti a fare branding da parte dell’azienda, e convincerci ad affidare loro una consulenza.
Esse infatti, al di là del modo spesso superficiale in cui si presentano le statistiche di accesso ad alcuni siti (stimate), realizzano furbescamente una sostanziale strategia di marketing, ottenendo backlink a iosa da parte di ignari (ed un po’ incoscienti) blogger che si illudono di fare il bene collettivo. Per intenderci: vi siete mai chiesti che interesse abbiano queste aziende a pubblicare informazioni talmente preziose in rete, addirittura nei propri blog aziendali, mentre ad es. Google si guarda bene dal farlo?
In definitiva, in ambito SEO riuscire a lavorare direttamente in inglese sarebbe l’ideale: ma di fatto vengono richieste ottimizzazioni su siti prettamente italiani che, per le ragioni appena esposte, diventano molto complesse da effettuare. Questo dovrebbe diventare una scusa per sviluppare strategie finalmente originali e che, soprattutto, non siano legate a strategismi obsoleti che tentino di fregare i motori di ricerca ad ogni costo. Di fatto, comunque, è bene tenere gli occhi aperti sul panorama estero, perchè potrebbe riservare novità molto interessanti per il futuro, soprattutto in termini di applicazioni web utili per la SEO e mashup di vario genere.