Ti sei mai chiesto quanti sono i professionisti che operano nel settore creativo in Italia?
Sono 2 milioni. Mica pochi, eh!
E la buona notizia è che producono il 5,8% del nostro Pil (stiamo parlando di ben 80,8 miliardi di euro, secondo quanto pubblicato nel Rapporto 2013 Unioncamere/Fondazione Symbola).
Se le cifre non sono il tuo forte, per farti capire di cosa stiamo parlando ti svelerò che fatturano più dell’industria automobilistica, più di Umbria, Liguria e Abruzzo messe insieme.
Questi professionisti sono tutti altamente formati, ma… c’è un ma grande quanto una casa: sono ignorati sia dalle istituzioni che dal governo.
Chi sono questi creativi?
Si tratta di tutte quelle persone che lavorano nel settore della comunicazione, dell’advertising, degli eventi e del web e al suo interno trovano spazio figure come quella del copywriter, dell’art director, del grafico, del programmatore e dello sviluppatore.
Ma ancora chi opera per il settore della moda, delle arti, dello spettacolo, industria, cultura, editoria, media, entertainment. Designer, autori, scrittori, sceneggiatori, registi, giornalisti e blogger, video-maker, editori. Pittori, sculturi, fotografi, architetti. Stilisti, scenografi, coreografi, costumisti, montatori, compositori, illustratori, traduttori, curatori, ricercatori, artigiani di ricerca…
Insomma, tutti gli esponenti di nuovi linguaggi e tecnologie e di tutte quelle “professioni creative” che caratterizzano la nostra identità culturale e anche quel made in Italy di cui si favella tanto.
Tutte queste professionalità non vengono identificate, né hanno la benché minima tutela né ascolto né valorizzazione. Nada. Non c’è nessun politico o sindacato che li rappresenti e non sono mai stati coinvolti nei processi consultivi e decisionali.
E ora, più degli altri, stentano a lavorare, faticano a mandare avanti la propria attività o lottano ogni giorno per difendere le proprie imprese.
Ma ci hai mai pensato a cosa accadrebbe se tutte queste persone si fermassero e non producessero più?
Beh, si fermerebbe tutto. Niente film, niente blog, niente spot pubblicitari, niente video virali su youtube, niente quotidiani online, niente app per ricordarti che devi respirare. Niente. Semplice. Senza se e senza ma.
E lo sai perché? Perché arte e cultura, ricerca tecnologica e creatività sono il futuro della nostra povera Italia.
Una decina di giorni fa, Alfredo Accattino, creativo che da anni cerca di sensibilizzare su questo argomento, ha detto “basta” e ha lanciato la prima petizione per la valorizzazione della creatività e della ricerca tecnologica, per il rilancio economico del Paese. Una rivoluzione creativa, insomma.
Attraverso il tam tam della rete, la petizione ottiene quasi 1.000 adesioni al giorno. Sono 9.000 le firme raccolte fino ad oggi. Ma non bastano.
I creativi chiedono non solo di firmare la petizione, ma di seguirli nel movimento di pensiero che deve obbligatoriamente scaturire subito dopo.
La rivoluzione creativa consiste in 20 punti di provvedimenti da prendere subito che toccano temi come la tutela del lavoro creativo e diritti per giovani e meno giovani, di donne e famiglie, ma anche di riforma del diritto d’autore e di tutela del concetto di idea.
Come partecipare alla #rivoluzionecreativa
1. Firma la petizione.
Sappi che il percorso sarà lungo e faticoso e non si potrà più tornare indietro.
2. Condividi il tuo pensiero e i tuoi suggerimenti in rete sul sito dei Creativi e sulla pagina FB. Proposte che verranno condivise e discusse da tutti coloro che sostengono l’iniziativa e che stanno sviluppando la piattaforma progettuale
3. Affianca l’attività del comitato promotore con iniziative individuali. Unici vincoli l’hastag #rivoluzionecreativa e l’adozione del colore giallo (pantone yellow C), valore identitario della protesta.
L’appello è quello di crederci: credere che le cose si possono cambiare. Per davvero e dal basso. Credere fortemente che tutta la filiera deve poter pesare di più e deve poter ricevere quelle forme di sostegno mai ricevute prima e oggi indispensabili per continuare a lavorare ed essere competitivi.
Che aspetti?