4 tipi di hosting per WordPress, e come calcolare l’uptime

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Pubblicato il 9 Ottobre 2014

In un nostro precedente articolo abbiamo discusso della scelta dell’hosting, e cercato di focalizzare le principali opzioni che si presentano ai nostri occhi quando dobbiamo decidere. I tipi di hosting disponibili, rispetto a qualche anno fa, sono decisamente più intricati, avanzati e numerosi: è quindi abbastanza comune (oltre che comprensibile) perdersi un po’ per strada spulciando le varie offerte. Con questo articolo proveremo a fare chiarezza sulle caratteristiche desiderabili di un hosting per WordPress, scelta certamente assai comune per molti utenti.

Quale hosting scegliere per WordPress?

Il mio suggerimento è di iniziare sempre a ragionare sul caso specifico: se stiamo aprendo un blog WordPress da zero, in linea di massima (almeno per i primi tempi) vi basterà un qualsiasi hosting condiviso. Le offerte reclamizzate come hosting WordPress offrono al più la possibilità di installare “one-click” il CMS in questione, ma di fatto non sono diverse da un normale hosting di questo tipo: quindi ci danno PHP, MySql e (solitamente) Apache. Se invece ne stiamo trasferendo un blog già esistente altrove, dovremo far fronte a qualche variabile in più: ad esempio, chiederci quanti visitatori faccia il sito ogni mese (mediante Analytics, per esempio), e tarare la scelta di conseguenza.

Sia che si tratti dell’acquisto ex novo o del trasferimento di un sito, la scelta dell’hosting di riferimento è pilotata in primis da una prima valutazione di questo tipo.

In linea di massima, comunque, un server per WordPress è una macchina virtuale in cui sono disponibili:

  1. un sistema operativo (solitamente Linux o Windows server);
  2. un set di servizi minimali come PHP e MySql (che sono indispensabili per WP) ed Apache (ma anche NGINX, in alternativa);
  3. un insieme di risorse hardware erogate virtualmente ad ogni sito come RAM, spazio su disco e CPU.

Scelta base: hosting condiviso

Da un punto di vista tecnico gli hosting condivisi non fanno altro che offrire uno stesso server per ospitare numerosi siti: ognuno avrà il proprio spazio virtualizzato, ma al di là di possibili problemi di “convivenza” (potremmo capitare sullo stesso IP di un sito discutibile o di spam), esiste un discorso delicato di suddivisione delle risorse, dal quale è impossibile prescindere.

Se ci sono molte richieste sulla stessa macchina, ad esempio, o se uno dei siti presenta un bug grave o una falla, anche la continuità di servizio del vostro blog potrebbe non essere più garantita. Qui ci troviamo ad una scelta “entry level” che potrebbe in alcuni casi non bastarci: se il nostro sito non si regge in piedi, quindi, possiamo pensare di valutare una delle soluzioni avanzate descritte brevemente di seguito.

  • VPS (Virtual Private Server). Sono macchine in cui, a differenza delle soluzioni condivise, è possibile accedere liberamente (mediante shell, ovvero terminale remoto) ai comandi del sistema operativo. Questo serve per effettuare ottimizzazioni specifiche sul database del sito, impostare meglio la cache, lanciare dei daemon per tenere in piedi i servizi e così via. Per esperienza, pero’, non sempre questa soluzione è consigliabile per l’utente medio, che non ha per forza competenze in tale senso, e che potrebbe quindi optare per una soluzione managed.
  • Hosting managed. Si tratta solitamente di server dedicati, ovvero sui quali siamo i soli ed unici clienti, in cui la parola managed fa riferimento al fatto che avremo un sistemista a nostra disposizione, che ci aiuterà per impostare la macchina e farci manutenzione. Quasi tutti gli hosting propongono soluzioni di questo tipo, che sono davvero comode e, in certi casi, neanche troppo dispendiose (per quanto di ordine di grandezza più elevato alle classiche 50 euro che spendiamo in un anno per un hosting condiviso).
  • Hosting cloud. Possono essere un buon compromesso ma, anche qui, richiedono un minimo di consapevolezza in più da parte del cliente. Un hosting di questo tipo scala in automatico le risorse, nel senso che se il vostro sito ha pochi o tanti visitatori pagheremo sempre in proporzione al consumo effettivo di risorse. Una buona soluzione un po’ per tutti, alla fine, ma che deve fare i conti con l’idea di saper scegliere la soluzione giusta (dai miei test i cloud più interessanti sono quelli di Amazon EC2 e RackSpace, sui quali è possibile far girare un sito in WordPress con prestazioni davvero incredibili).

Misurare la continuità di servizio: uptime

Qualunque sia la nostra scelta (in base al consueto compromesso budget/esigenze), è importante misurarne la continuità. A tale riguardo si fa riferimento al parametro di uptime (o tempo di attività) per indicare l’intervallo di tempo in cui un servizio di hosting (relativamente al vostro sito, nella pratica) è stato ininterrottamente acceso e funzionante. Si tratta di una stima che viene spesso indicata dai servizi di hosting su percentuali nel range 99,5-99,9%, il che significa che il servizio (secondo le loro stime) funziona “quasi sempre” durante l’anno.

Se provate un servizio come uptimerobot (ma si può fare lo stesso anche con un semplice Google Doc) potrete misurare l’uptime del vostro attuale hosting, e questo semplicemente inserendo l’indirizzo del vostro sito web. Si fa presente che, nella pratica, l’uptime non distingue, di norma, tra situazioni in cui la discontinuità dipende dall’hosting o da una cattiva implementazione del sito, per cui attenzione a non trarre conclusioni affrettate su questo argomento. Specie di questi tempi, in cui le emergenze in fatto di sicurezza informatica sono all’ordine del giorno, qualsiasi sito in WordPress è esposto a potenziali attacchi informatici, accentuati dalla presenza di possibili attacchi hacker, per cui è importante affidare la propria scelta ad un personale tecnico che si dimostri, già dalle vostre prime richieste, sempre all’altezza.

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