Pochi giorni fa, sul mio profilo Facebook Leonardo Bellini ha pubblicato un post dedicato al personal branding. La sintesi: molti usano i social per lavorare in questa direzione e ignorano il blog, preferiscono Twitter e Linkedin alla pubblicazione di articoli corposi, densi, ricchi di informazioni.
Giusto? Sbagliato? Ognuno ha la propria ricetta. E sicuramente il personal branding non è un settore facile da legare a vincoli e ricette evergreen. Però ti invito alla riflessione: cosa significa per te fare personal branding? Facciamo chiarezza su questo termine prima di individuare gli strumenti indispensabili. Rubo la definizione dal blog di Luigi Centenaro, una delle istituzioni in questo settore:
Fare Personal Branding (…) significa impostare una strategia per individuare o definire i nostri punti di forza e comunicare in maniera efficace cosa sappiamo fare, come lo sappiamo fare e perché gli altri dovrebbero sceglierci (Luigi Centenaro).
Chiaro come una giornata di primavera. In questi punti puoi trovare tutti i passaggi necessari per capire cosa è il personal branding. Ma, soprattutto, puoi individuare una giustificazione concreta all’uso di determinati strumenti.
Fare personal branding vuol dire comunicare una quantità infinita di dati. Cosa sai fare, come lo sai fare, perché gli altri dovrebbero scegliere proprio te. Le mie domande sono semplici: i social sono sufficienti? Sono adeguati alla tua persona? Aderiscono alle esigenze di chi parte da zero e ha bisogno di farsi trovare? Ecco tre buone ragioni per aprire un blog e fare personal branding. Più una per rimanere fedele ai social.
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Creare relazioni (e sporcare le mani)
Chiedimelo cento volte e io ti risponderò cento volte nello stesso modo: qual è il grande vantaggio di un blog? La sua capacità di creare relazioni con i lettori. Ovvero persone che puoi fidelizzare, che parleranno bene di te con amici e colleghi, che verranno ai tuoi eventi per capire meglio le tue idee.
Attraverso un blog ti fai trovare, e metti in pubblica piazza le tue capacità. Ma soprattutto inizi una discussione proficua con persone che cercano risposte, che amano quello che fai e – perché no – criticano il tuo operato. Questo significa sporcarsi le mani con la materia prima del nostro lavoro: la comunicazione.
Essere blogger vuol dire in primo luogo avere una voce in capitolo per chi ti cerca attraverso questa piattaforma. E sono tante le persone che leggono, condividono, commentano. Senza dimenticare che il blog è uno strumento speciale per aumentare gli iscritti di una newsletter, strumento chiave per mantenere i rapporti con il tuo target e inviare messaggi profilati.
Per approfondire: la newsletter giusta al momento.
La tua voce in primo piano
Fare personal branding vuol dire comunicare quello che sai fare. E credo che un blog sia perfetto per dare massimo risalto alle tue potenzialità, per mostrare ai destinatari qual è il tuo potenziale. E questo non solo perché la scrittura è libera dalle costrizioni imposte dalle singole piattaforme, ma perché ti puoi far trovare in mille modi differenti. Quattro esempi su tutti:
- Motori di ricerca.
- Condivisioni.
- Discussioni.
- Dark social.
Ogni articolo viene indicizzato e trovato da persone che possono ricondividere questo articolo sui social, possono postare il link nelle discussioni che nascono sui forum o nei gruppi, possono mandare l’URL a un amico o a un collega via email, possono suggerire al capo di dare un’occhiata al tuo blog perché: “Ehi, non stavi cercando uno bravo per quel lavoro? Dai un’occhiata a questo tipo”. Mi appoggio alle parole di Riccardo Scandellari:
Da sempre sono sostenitore della centralità del blog come strumento base della propria comunicazione. Non esiste un altro luogo in cui poter esprimere il massimo della propria capacità comunicativa, liberi da schemi, impostazioni e limitazioni date dalle affollate pareti sociali (Fai di te stesso un brand).
Ok, puoi fare personal branding anche con i social? Certo. I social sono importanti. Ma avere un blog al centro della propria strategia è fondamentale. Ma io ho notato una cosa: Seth Godin non usa i social. Twitter è praticamente un contenitore di link. Però ha un blog. Senza commenti. Magari gli articoli sono brevi. Però il blog lo aggiorna sempre. Perché qui c’è la sua voce in primo piano. Senza inutili orpelli e costrizioni.
Sicurezza e professionalità
Un aspetto non secondario. I prodotti vengono ritirati dal mercato, i servizi chiudono, il blog rimane per sempre. I contenuti sono tuoi. Personali. Nessuno chiuderà il tuo blog, e tu avrai sempre il massimo controllo di quello che stai pubblicando. Fare personal branding per me vuol dire avere un blog proprietario, e quindi un blog con un hosting e un dominio.
Quindi niente WordPress.com o Blogger: ottime soluzioni per fare pratica ma poco professionali e scomode in vista di una futura personalizzazione.
WordPress, dal mio punto di vista, è il massimo. Poi possiamo ragionare su altri CMS ma in ogni caso evita servizi gratuiti che non permettono di personalizzare il blog. Hai dei colori aziendali, un font che caratterizza la tua immagine, un logo da inserire nell’header. Su un blog Wodpress.com tutto questo è impensabile. Quindi la soluzione è questa: investire in un blog self osted.
Per approfondire: quale hosting scegliere per WordPress.
Perché rinunciare al blog?
Ok, il blog è spettacolare. Ti permette di pubblicare contenuti, di creare interazioni, di mostrare i muscoli e di costruire il tuo brand in modi differenti. E tutti validi. Ma c’è un motivo che ti spinge a non aprirlo: la costanza. La maggior parte dei blogger è super convinta la prima settimana: un post al giorno. Poi i risultati non si presentano e le pubblicazioni scendono a due o tre.
La discesa è inesorabile, gli argomenti latitano, lo sprint iniziale è solo un pallido ricordo: un articolo a settimana, anzi, due articoli al mese. Tanto è la qualità che conta, giusto? Certo, nel frattempo il blog diventa una nave fantasma che si aggira per il web senza comandante: i commenti si accumulano, gli argomenti in home page hanno fatto le ragnatele, i titoli citano ancora Friendfeed e Google Buzz.
Ecco, in questi casi io punto alla semplicità e all’essenzialità: essere presente su un canale vuol dire investire tempo e risorse. Se mancano questi punti evita, non investire nel blog. Perché sarà un biglietto da visita pessimo: continua a lavorare sui social, trasforma Google Plus in una sorta di microblog, usa Facebook e Twitter per mantenere rapporti virtuosi con colleghi e clienti.
Le opinioni del pubblico
Qualche giorno fa, subito dopo la discussione aperta su Facebook, ho lanciato un sondaggio. Fare personal branding: è necessario avere un blog? Ho condiviso il form sui social, anche sul gruppo Webhouse, e il risultato è questo:
Ovviamente questo sondaggio non ha alcun potere rappresentativo, ha raccolto 164 pareri, ma considerando che è stato condiviso attraverso canali seguiti principalmente da professionisti del settore web marketing è plausibile (ma non obbligatorio) pensare che nel settore l’idea predominante sia questa.
Fare personal branding: la tua opinione
Ho spiegato i motivi utili per aprire un blog e fare personal branding, ho anche individuato la strada utile per chi ha le ore contate e non può dedicare tempo a questo strumento. Adesso voglio conoscere la tua opinione: secondo te il blog è uno strumento necessario per fare blogging? Lascio a te la parola nei commenti!