SEO dopo la authorship: cerchie, brevetti e link comprati?

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Pubblicato il 15 Settembre 2014

La notizia del momento, che scuote i nostri animi, agita i nostri cuori, ci fa cercare, leggere, spulciare forum e blog è nota: vorrei scriverlo qui, senza ipocrisia. Da qualche tempo, infatti, sono uscite le foto osè del fappening Google ha deciso di far fuori l’authorship, ufficialmente per via del suo scarso rendimento in termini di qualità delle SERP.

Secondo alcuni maliziosi si sarebbe trattato (al di là di motivazioni strategico-tecnologiche) di una ritirata premeditata, una mossa del tipo: vi abbiamo costretti ad iscrivervi a Google Plus, adesso sappiamo di aver incasinato le SERP e resettiamo tutto, amici come prima. Nel frattempo, sappiate che non siete obbligati a disiscrivervi da Plus togliere l’attributo rel=author.

Cerchie: uno strumento social, ma anche di marketing

“Cercare su Google” produce un interessante gioco di parole con il termine cerchiare: in effetti le cerchie di G+ – che secondo Google ti permettono di mettere insieme le persone in base alla percezione che hai di loro nella vita reale – sono uno strumento ideale per targetizzare le nostre pubblicazioni online. Questo perchè alla lunga, ed usandolo con costanza, consentono di creare vere e proprie liste di utenti interessati ad un settore.

Tale aspetto, peraltro, è ordinato e flessibile: in teoria possiamo postare siti adult come di accessori per la pesca alle rispettive cerchie “Audaci” e “Pescatori“, senza dimenticare che le associazioni sono libere e quello che viene postato ad una cerchia non è, di norma, visibile agli altri.. Questo ricorda una sorta di risultati di ricerca personalizzati in cui puoi inserire ciò che vuoi (o quasi): basta saperlo fare, ed è sorprendente come molti non sfruttino questa opportunità arrivando addirittura ad augurarsi la scomparsa di G+ (… “capirai, tanto c’è Facebook“!).

Dove non può – se non dopo molti mesi di lavoro – la SEO per via dell’alta competitività, sembra invece potere – a certe condizioni – questo social, che si integra con le strategie SEO tradizionali (e senza per questo volerle sostituire, s’intende), anche solo in attesa di tempi migliori.

Ad esempio così:

Screen 2014-09-08 alle 15.28.27dove, probabilmente a sfottò, l’iconcina della defunta authorship … continua ad apparire, nonostante tutto.

Del resto, avere tanti utenti nelle cerchie è come disporre di tante newsletter – gli update di G+ si possono inviare per email, croce e delizia del marketing old school – a cui possiamo recapitare i nostri URL, gli aggiornamenti di stato ed i coupon, senza contare che gli utenti delle medesime potranno vedere gli status degli “amici” all’interno dei propri risultati di ricerca. Non sarà SEO pura, ma certamente ha una sua funzionalità in parte correlata ad essa. Si tratta peraltro di una discreta porzione di query not provided, in sostanza, le stesse che hanno provocato depressione in chi vendeva software per article spinning faceva SEO un po’ arraffone, e calzano a pennello nel nostro discorso.

Niente panico, quindi: la SEO non morirà (è peggio dell’erba cattiva, credetemi), tantomeno Google Plus morirà, almeno non in questi mesi: anzi, rimarrà uno strumento prezioso in fase di startup. E questo nonostante le foto del profilo che un po’ tutti, alla fine, siamo stati tentati dal sostituire con quelle di Kate Upton, nella speranza che (anche) a Google piacessero le bionde.

Google può usare la authorship senza dircelo?

In breve: , potrebbe. Sai che novità, se lo facesse: Google mostra ciò che vuole, toglie e regala strumenti con la stessa capricciosa ed incoerente generosità del miliardario che regala soldi a chi capita, salvo farci le pulci per chi paga il caffè. Ora non voglio tirare in ballo dietrologie, ma c’è un interessante articolo scritto da Bill Slawski (Has Google Decided that you are Authoritative for a Query?) che suggerisce un brevetto di Google – US Patent 8,825,698 – inerente un metodo per determinare risultati di ricerca “autoritativi”. Sì, avete letto bene: in altri termini, viene ideato un utilizzo “trasversale” degli account social per identificare autori autorevoli, e l’associazione con la authorship di Google Plus sembrerebbe praticamente ovvia, a questo punto.  Il metodo consente in particolare di determinare

a contact status between the authoritative user and the searching user within a social networking service

ovvero di stabilire un legame tra autore autorevole che pubblica X ed utente della stessa cerchia che cerca X. Attenzione: questo non sembra valere per la totalità delle query di ricerca, ma solo per le trigger query. Detta così non è molto chiaro, tant’è che ho provato a chiedere al buon Bill cosa intenda lui, precisamente, per “trigger“, e trovate la risposta nel post che ha aperto sull’argomento. Secondo Slawski, di fatto, nonostante la authorship sia stata rimossa – per quanto qualcuno di Google dovrebbe spiegarmi perchè nel test sopra, in data 8 settembre 2014, la faccina appariva lo stesso – in virtù del brevetto citato si farebbe comunque sentire sulle query delle nostre cerchie. E questo sembra confermato comunque dalla pratica, nonostante la authorship morta.

Da qui in poi… possiamo far correre i neuroni quanto ci pare: perchè tanto, secondo me, non ne usciremo.

Brevetti di Google: andiamoci piano!

Teniamo conto, infatti, di un aspetto importante: il brevetto in questione è stato pubblicato a settembre 2013 ma risulta filed, cioè archiviato, a dicembre 2012, molto prima che fosse ufficializzata la fine della authorship (di cui si è iniziato a discutere nel 2011). Potrebbe, quindi, riguardare aspetti mai nati o definitivamente soppressi: certamente chiedersi come venga stabilita l’autorevolezza di un risultato di ricerca è interessante, ma finisce come sempre (come mi sforzo di spiegare ai clienti ogni giorno) per dipendere da troppi altri elementi insondabili. Molti sono convinti che i brevetti di Google possano fungere da “manuale SEO” ultra-avanzato, ma probabilmente stiamo sopravvalutando il fenomeno: ho definitivamente smesso di dare retta a queste cose, per la verità, a maggior ragione quando Google ha dato istruzioni parzialmente inesatte su come implementare HTTPS, declassando la propria immagine da azienda-nerd a multinazionale che vuole vendere certificati SSL far parlare di sè, anche a costo di scrivere per “sentito dire”.

Screen 2014-09-08 alle 14.19.21

Come ho già ribadito altro, se sparisce la authorship molti traviseranno: e tanta gente scriverà ancora sui blog “per sentito dire” (tanto più adesso che non devi per forza “firmarti”), inquinando le SERP dei risultati di ricerca e scatenando una, due, trecento mila altre penalizzazioni, inspiegabili sandbox, Panda, Pinguini e quant’altro. Se d’altro canto si diffondono servizi a pagamento come questo qui sopra (non cito l’URL, anzi farò di tutto per dimenticarlo) in cui puoi comprare anchor text decontestualizzate (un elemento della nuvola di tag che paghi singolarmente), siamo messi molto peggio di quanto i discorsi ci portino a pensare. Quella non è neanche vendita di link, è vendita di àncore allo stato brado: una cosa talmente ridicola che non trovo neanche un modo per ironizzare.

Ci vogliono i contenuti, non riusciamo a capirlo con convinzione, è inutile: ci vuole altrettanta qualità, e dobbiamo saperci costruire una credibilità, prima di qualsiasi altra cosa.

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